Il piantagrane
(2011)
di : Giulia Abbate, Fabio Cherstich, Filippo Farina, Maria Porro
Regia: Fabio Chersitch e Giulia Abbate
Scene e video: Maria Porro
Con: Filippo Farina e con Fabio Cherstich e Alberto Torquati.
Voce OFF: Filippo Timi
Un villaggio sta per essere abbattuto per dare posto a una fabbrica di animali.
I burocrati invadono la cittadina, promettendo soldi e nuove abitazioni agli abitanti in cambio della loro terra.
Arturo, il nostro protagonista una notte di tempesta tra ricordi d’infanzia e paure lontane non riesce ad addormentarsi. Per prendere sonno ricorda la voce di sua nonna che lo invita a contare le pecore. La sua fantasia premonitrice trasforma le pecore in mucche , gli steccati in recinzioni di filo spinato gli alberi in alte ciminiere e in gru. Al risveglio capisce che non deve cedere, non deve lasciare la sua casa, non deve farsi comprare come il resto degli abitanti, deve combattere. La realtà supererà il sogno: nell’avanzare del cantiere il villaggio si trasforma: le ruspe invadono le strade, la città si svuota, viene demolita. L’unico che decide di rimanere è Arturo. Tra scartoffie, libri e diari di un suo avo scopre che il terreno su cui vive non solo è tra i più fertili della regione ma ha anche la peculiarità di non essere edificabile se abitato dalle piante. Ecco la soluzione: piantare tanti alberi per impedire l’ avanzata delle ruspe. Una scia di uomini, burocrati, costruttori, cerca di ostacolare la sua impresa. Ma lui troverà il modo di resistere aiutato dalla collettività del villaggio, pentita della scelta fatta e solidale alla sua battaglia.
Il protagonista è intrappolato in un macchinario scenico i cui ingranaggi sono innescati da altri uomini, attori mimi. L’uomo subisce le trasformazioni di questo mondo. I pezzi del meccanismo si distruggono in continuazione, ma vengono rapidamente sostituiti: sono palazzi di carta che si innalzano come giganteschi origami. Il paesaggio di cartone è in continuo mutamento mentre le macerie di ciò che viene distrutto si accumulano in grandi montagne informi ai lati della scena. E’ un grande pop up book fatto di grattacieli di cartone e ruspe di carta, il cielo è uno schermo su cui scorrono nuvole di pixel. In questo mondo effimero tutto è coperto da una patina grigia e gli oggetti sembrano fotocopie in bianco e nero di se stessi. L’unica verità, l’unica forma di vita, sono gli alberi e un uomo che con la sua scelta di piantare i semi nella terra perpetua un atto di resistenza che sovverte la logica del consumo e del possesso dei suoi simili nei confronti della natura.